Archistar o “muratore che sa il latino”?

Il ruolo dell’architetto dalle torri di San Gimignano alla cascata urbana

Autore:
Renato Di Criscio

Descrizione:

Nel tempo della modernità sono i grattacieli che ci portano inevitabilmente a parlare non della città come arte sociale o rapporto tra le persone ed il luogo, ma di altezze vertiginose e tecnologie esasperate: Il Manhattanismo è l’emblema dell’estraniamento dal territorio della sfera naturale.
Tra gli esempi recenti ricordiamo Il Burj Khalifa del 2010 a Dubai, Il Liebian Building con la sua “cascata urbana” nel quartiere degli affari di Guiyang in Cina o la città di Ordos in Mongolia: megacostruzioni prive di una connessione con il luogo, che amplificano il carattere straniante dei contenitori urbani e l’impossibilità di una riconciliazione affettiva dell’essere umano con l’ambiente costruito.
La spettacolarizzazione dei grattacieli era già presente nel cinema degli anni Trenta con film “42nd street” di Lloyd Bacon e “Metropolis”, di Fritz Lang.
Adolf Loos, scriveva: “L’architetto è un muratore che sa il latino”, ossia è l’artigiano colto, gratificato dalla consapevolezza di essere tale, dedito alla cura del dettaglio ma in grado allo stesso tempo di cogliere i segreti del “genius loci”.
Esempi emblematici di quest’ultima figura, su cui si riversavano le aspirazioni collettive, erano i costruttori che nel XIII secolo avevano dato forma all’inconfondibile skyline del borgo di San Gimignano.
“One must touch this earth lightly” (Bisogna toccare questa terra lievemente), questo è il motto della cultura aborigena che tanto impressionò Glenn Murcutt, architetto australiano vincitore del Premio Pritzer nel 2002, autore di una architettura in piena integrazione con la natura ed il paesaggio circostante.
Trasformare un’opera in mero “contenitore edilizio”, distruggendone il valore simbolico e comunitario, è lo sfregio più potente che spesso edifici storici hanno subito nel tempo: Successe al Partenone, quando l’imperatore macedone Demetrio lo trasformò in un teatro, e ancora accadde quando i Turchi lo trasformarono in una polveriera.
Questa è l’altra faccia della medaglia che ci insegna, il profondo valore sociale e politico dell’architettura quale espressione delle aspirazioni più profonde e durature di una cultura.
Renato Di Criscio, architetto, si dedica principalmente all’attività di progettazione architettonica e direzione lavori presso l’Agenzia di Tutela della Salute della Brianza.
Nel 2020 scrive “Sabbia Rigida”, viaggio tra i grattacieli, emblemi del capitalismo finanziario, ed il Partenone per esplorare la relazione tra architettura ed edilizia.

Scheda:

Anno pubblicazione:
2021
Pagine:
6 - 11
Numero:
126
Numerazione: Url: Parole chiave:
Bioarchitettura, Architettura, Progettazione, Ingegneria, Verde, Paesaggio, Città, Metropoli, Natura, Ecologia, Tecnologia, Sostenibilità Ambientale, Capitalismo, Renato Di Criscio, Grattacieli, Arte, Genius Loci, Manhattanismo, Rem Koolhas, Bigness, Peter Zumtor, Ettore Sottsass, Burj Khalifa, Dubai, Guiyang, Cina, Ordos, Mongolia, Cinema, “42nd street”, Lloyd Bacon, “Metropolis”, Fritz Lang, Adolf Loos, Skyline, Borgo di San Gimignano, “One must touch this earth lightly” (Bisogna toccare questa terra lievemente), Glenn Murcutt, Premio Pritzer, Partenone, Imperatore Demetrio, “Sabbia Rigida”.

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